L'emergere di Sora, il modello di intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI per generare video iperrealistici a partire da testi, non sfida solo Hollywood. Sfida qualcosa di più profondo: l'idea stessa di autore. In un mondo in cui le storie sono costruite da algoritmi, chi firma la sceneggiatura? Chi si assume la responsabilità narrativa? Chi decide cosa viene raccontato e cosa viene tralasciato?
Per secoli, l'arte è stata fatta di conflitti. Un regista che discute con il suo montatore. Uno sceneggiatore che difende una battuta. Un attore che improvvisa fuori copione. Sora elimina quel rumore. Lo sostituisce con l'efficienza. Con suggerimenti. Con risultati immediati. Ma in quel silenzio, qualcosa si perde: la tensione che dà significato all'opera.
Non si tratta di nostalgia. Si tratta di etica editoriale. Quando una storia viene generata dall'intelligenza artificiale, chi è responsabile della sua parzialità? Della sua estetica? Del suo impatto emotivo? Chi decide se un corpo appare o meno, se una voce ha un accento, se una scena suggerisce violenza o redenzione?
Sora non ha un'ideologia. Ma è stato addestrato dagli umani. E quegli umani hanno pregiudizi, interessi, programmi. Il modello non è neutrale. È una sintesi di milioni di decisioni invisibili. E ogni video generato è un editoriale senza firma, senza contesto, senza conflitto.
La paternità diventa superflua. Gli spettatori non cercano più nomi. Cercano stimoli. Cercano velocità. Cercano impatto. E Hollywood, con i suoi sindacati, le sue tempistiche e i suoi ego, non può competere. Ma il problema non è Hollywood. Il problema è che la narrazione è diventata superflua.
In questa nuova logica, lo sceneggiatore non è un creatore. È un operatore puntuale. Un tecnico che calibra emozioni, stili e durata. La storia non è più costruita: è sintetizzata. E quella sintesi, per quanto brillante, non ha memoria. Non ha contesto. Non ha voce.
Chi scrive le storie quando nessuno le firma? Chi è responsabile di ciò che vediamo, sentiamo e condividiamo? Questa è la domanda che Sora lascia in sospeso. E a cui nessuno, per ora, osa rispondere.
Perché il vero conflitto non è tra Hollywood e OpenAI. È tra due modelli del mondo. Uno basato sull'esperienza, l'errore e l'intuizione. Un altro basato sull'efficienza, la previsione e l'ottimizzazione. Uno che accetta l'imperfezione come parte dell'arte. Un altro che la corregge prima ancora che si manifesti.
Sora non è il nemico. È lo specchio. Riflette ciò che noi, come pubblico, chiediamo: velocità, impatto, un'estetica fluida. E ci riesce. Ma nel farlo, cancella la firma. Cancella il conflitto. Cancella la storia dietro la storia.
Forse il futuro non avrà sceneggiatori. Forse avrà operatori narrativi. Curatori di spunti. Tecnici delle emozioni. Ma in quel futuro, chi sarà responsabile della narrazione? Chi è responsabile quando una storia genera odio, manipolazione o violenza?
Essere autori non è un lusso. È una responsabilità. E senza di essa, la storia diventa anonima. E l'anonimato, in tempi di polarizzazione, è pericoloso.
Sora scrive senza firma. E questo, al di là della sua abilità tecnica, dovrebbe preoccuparci.
Perché se nessuno firma, nessuno risponde. E se nessuno risponde, la storia cessa di avere conseguenze. Diventa rumore. Incentivo. Consumo. Ma non cultura.